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Il  futurismo è in Italia il primo e più importante dei movimenti d’avanguardia che sconvolgono l’Europa con la loro provocatoria e polemica rottura con il passato. L’atto di nascita è legato alla pubblicazione del Manifesto del futurismo su «Le Figaro» del 20 febbraio 1909, un manifesto programmatico redatto da Filippo Tommaso Marinetti, fondatore e teorico del movimento. Viene subito sottolineata la necessità di liquidare in maniera netta la tradizione attraverso l’adeguamento dell’arte alla velocità della macchina, per riprodurre il movimento del mondo industriale: le immagini delle metropoli, del traffico cittadino, delle insegne luminose sostituiscono i chiari di luna. Questo si traduce sul piano letterario nella volontà di dissolvere le strutture formali della tradizione come viene dichiarato nel Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912: uso del verbo all’infinito, abolizione di aggettivi, avverbi, punteggiatura e delle forme abituali della sintassi a favore di associazioni imprevedibili e rapporti analogici. Senza seguire regole grammaticali, metriche e anche tipografiche, sulla pagina si susseguono «parole in libertà» e «immaginazioni senza fili». Dal ‘poema parolibero’ Zang Tumb Tumb di Marinetti si arriva al “libro imbullonato” di Fortunato Depero e alla litolatta L’anguria lirica di Tullio d’Albisola, mentre alcune importanti figure di inizio Novecento come Ardengo Soffici, Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi si avvicinano al movimento solo per un breve arco di anni. L’esperienza esplosiva dei poeti futuristi, insieme a quella implosiva dei poeti crepuscolari che invece compiono un lavoro silenzioso sulla parola, apre la strada alla poesia del Novecento.