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Gabriele d'Annunzio

Un «monstrum»: questa la definizione che Montale dà di d'Annunzio, sottolineando come «un po’ di lui sia rimasto appiccicato a tutti i poeti che sono venuti dopo», costretti a confrontarsi e scontrarsi con la sua imponente figura. Alle soglie del Novecento lo scrittore pescarese continua in modo incessante la sua ricca e riconosciuta attività di narratore e poeta, iniziata nel 1879 con la pubblicazione di Primo vere. Nel 1903 escono MaiaElettra e Alcyone, i primi tre libri delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, il vertice del proprio percorso poetico. Attraverso sperimentazioni formali e virtuosismi linguistici, la sovrapposizione tra arte e vita giunge a pieno compimento: nell’Alcyone il poeta, immerso nella sensualità e nella gioia dell’estate, si abbandona a un totale panismo, manifestando una piena simbiosi tra sé e la natura. A partire dagli ultimi anni dell’Ottocento d’Annunzio si dedica anche al teatro, in particolare a un teatro in versi come nel caso del dramma a sfondo storico Francesca da Rimini del 1901. Nel 1904 va in scena la tragedia di maggior successo, La figlia di Iorio, ambientata in un Abruzzo favoloso e pastorale tra mito e sensualità. Se il Novecento si apre con la pubblicazione nel 1903 delle Laudi e dei Canti di Castelvecchio di Giovanni Pascoli, nello stesso anno appaiono però anche Le fiale e Armonia in grigio et in silenzio di Corrado Govoni, a cui seguiranno di lì a poco le opere maggiori dei poeti crepuscolari e futuristi. Un cambiamento è in atto: entrato in crisi il ruolo del “poeta-vate”, si avverte l’urgenza di un nuovo modo di scrivere versi.